 
		Per la prima volta, a livello europeo, il benessere mentale entra a pieno titolo in un documento ufficiale della cardiologia europea; infatti viene riconsociuto che fattori come ansia, depressione, stress e isolamento sociale non sono solo condizioni collaterali, ma fattori che influenzano direttamente la prognosi e la prevenzione delle malattie del cuore.
Questo riconoscimento arriva dalla Società Europea di Cardiologia (ESC), che al congresso di Madrid 2025 ha presentato il primo Clinical Consensus Statement interamente dedicato al legame tra benessere mentale e salute cardiovascolare.
Un legame antico
La relazione tra benessere mentale e cuore non è una scoperta recente. Già negli anni ’70 si parlava di “personalità di tipo A” come fattore di rischio cardiovascolare.
Negli anni ’90 la neurocardiologia ha iniziato a studiare come stress, ansia e depressione influenzassero la fisiologia cardiaca, dalla pressione arteriosa al ritmo del cuore. Più recentemente, grandi studi osservazionali hanno dimostrato che una persona su tre con malattie cardiovascolari convive anche con un disturbo di salute mentale.
Il problema è duplice:
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chi soffre di depressione, ansia o stress cronico sembrerebbe avere un rischio più alto di infarto, aritmie e scompenso cardiaco; 
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chi ha una patologia cardiaca tende a sviluppare più facilmente disturbi psicologici. 
Un circolo vizioso che, fino a oggi, la pratica clinica ha guardato con attenzione discontinua, senza mai integrare davvero i due aspetti.
La svolta di Madrid sul benessere mentale
Il documento approvato dall’ESC ribalta questo approccio. Chiede che in futuro il benessere mentale entri a pieno titolo nelle routine di screening. Quindi che i sintomi depressivi, ansiosi o post-traumatici diventino parte del protocollo delle visite cardiologiche, E che, d’altro canto, il monitoraggio del rischio cardiovascolare entri nei percorsi psichiatrici.
Il nucleo del cambiamento sta nella creazione dei cosiddetti “Psycho-Cardio Teams”, gruppi multidisciplinari composti da cardiologi, psicologi, psichiatri, infermieri e altri professionisti. Non più un consulto occasionale, ma un modello organizzativo stabile, capace di accompagnare il paziente lungo tutto il percorso di cura.
Un cambiamento culturale
Il professor Héctor Bueno, tra i coordinatori del documento, ha dichiarato: “È necessario che i professionisti del cuore collaborino con quelli della mente per riconoscere precocemente i disturbi psicologici nei pazienti e migliorare così non solo la qualità delle cure, ma anche il sostegno ai caregiver”.
Non è solo una questione clinica, ma di cultura medica. Significa accettare che depressione e ansia non siano “effetti collaterali” da trattare altrove, ma parti essenziali della malattia cardiaca. Una visione che cambierà il modo di fare prevenzione, diagnosi e riabilitazione.
Cosa cambia nella pratica
Il Consensus fornisce indicazioni operative precise:
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Screening regolari con strumenti rapidi e validati. 
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Modelli di stepped care, che vanno dal supporto psicologico alla psicoterapia fino, se necessario, ai farmaci antidepressivi “cardio-friendly” (come la sertralina). 
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Interventi non farmacologici: attività fisica, riabilitazione cardiaca, mindfulness, gestione dello stress. 
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Attenzione alle interazioni farmacologiche, dal rischio di prolungamento del QT agli effetti sul metabolismo. 
In altre parole: la salute mentale non è più un optional, ma un capitolo obbligatorio delle cartelle cliniche cardiologiche.
Un percorso lungo decenni
Questa svolta è il risultato di decenni di lavoro scientifico. Studi come HF-ACTION (che ha dimostrato il valore dell’esercizio fisico nello scompenso cardiaco) o le ricerche italiane sul ruolo dello stress e della resilienza hanno lentamente accumulato prove. Si veda ad esempio anche l’articolo apparso recentemente su Repubblica: Cuore e cervello, una connessione più profonda di quanto immaginiamo
Le sfide future
Il documento non nasconde i limiti: mancano protocolli standardizzati, studi di costo-efficacia e algoritmi chiari per tutti i contesti. Servono nuove ricerche, soprattutto negli anziani, nei pazienti complessi e in chi convive con malattie mentali gravi.
Ma il messaggio è chiaro: la strada è tracciata. Dalle linee guida alla clinica quotidiana, la sfida è trasformare questa presa di posizione in realtà.
Perché è una svolta per i pazienti
Per milioni di persone, significa avere più possibilità che ansia, depressione e stress non restino invisibili nelle visite cardiologiche. Significa ricevere cure integrate, non frammentate. Significa che parlare con il proprio cardiologo di come ci si sente, psicologicamente oltre che fisicamente, non sarà più visto come “fuori tema”, ma come parte essenziale della cura.
Come ha detto la professoressa Christi Deaton, coautrice del documento:
“Ci auguriamo che i pazienti si sentano finalmente liberi di parlare della propria salute mentale con i cardiologi, con la certezza che i loro problemi verranno presi sul serio”.
 
    